sabato 29 aprile 2017

IL TEMPO


 












Il tempo ed il suo scorrere sono un fatto che diamo troppo spesso per scontato, tuttavia se ci si ferma a riflettere è facile giungere alla conclusione che in effetti di tempo non ne abbiamo una scorta illimitata, la fine della vita (di un corpo) è inesorabilmente una scadenza che fa si che il nostro tempo abbia un termine, se lo paragonassimo ad una goccia che cade ad intervalli regolari si potrebbe dire che all'inizio di questa vita ne disponiamo un intera botte, poi via via una damigiana, una bottiglia e poi le poche gocce che cadono da una pipetta in vetro.



Eppure il tempo in termini assoluti non è sempre stato come lo percepiamo ora, all'inizio di questo universo il tempo scorreva in due sensi, difficile concepirlo ora, ma la fisica teorica l'ha stabilito inequivocabilmente fin dagli anni cinquanta.


Cosa abbia interrotto il flusso bidirezionale è fuori dalla portata della ricerca, per capirlo bisognerebbe chiedere aiuto alla filosofia.


Penso che la fine del proprio tempo, la morte del proprio corpo, non dia senso alla vita, non amo sentir parlare della morte come di un termine ultimo che dà significato alla vita, la morte è “non vita”.


Quando muore una pianta che si è accudito per anni e che ti ha nutrito con i suoi frutti in cambio di amore ed attenzione, perdi inesorabilmente qualcosa, e benchè io sia certo che un essere quale spirito migri da corpo in corpo al momento della nascita, vedo la morte come un ostacolo, un termine indesiderabile, una sbarra del telepass che si schianta sul parabrezza delle proprie relazioni, dei propri amori, dei propri amici.



Eppure mio padre ricordava altre vite, quando si ammalò ed era ormai certo gli rimanessero poche gocce in un bicchiere vuoto e sentiva il rammarico di non poter star vicino alla moglie malata ed a noi, figli per cui aveva mostrato sempre un amore immenso, bastò fargli chiudere gli occhi e farlo tornare alla vita precedente, quando giocava da bimbo per le strade di Gubbio nella sua amata Toscana per fargli tornare il sorriso.


Ma anche in una nuova vita il tempo tornerà sempre a scandire i nostri giorni, a rubare gli affetti, ad essere scadenza e distruttore insieme ed ancora ancora ed ancora.


Questa è stata la condanna che ha spinto il giovane principe Siddhartha a cercare la condizione in cui non si patisse la compulsione a reincarnarsi.

Da essere, da spirito, il tempo non ha armi contro di te, anzi l'esperienza renderebbe sempre più saggi.


Meglio ancora sarebbe mantenere la propria memoria, il proprio sapere da corpo in corpo e diventare, questa volta si, immune dal tempo e dai propri artigli.


Se questo universo è nato da una CAUSA, il cui unico scopo era la creazione di un EFFETTO, come affermano i VEDA, antichi testi in sanscrito, la cruna dell'ago da cui dovremo passare sarà ancora la ricerca filosofica, la scoperta della causa che c'è in noi ora sommersa da cose non nostre che oscurano la nostra vera essenza.


 I Veda sono un’antichissima raccolta in sanscrito vedico di testi sacri dei popoli arii che invasero intorno al XX secolo a.C. l’India settentrionale.

lunedì 17 aprile 2017

NUVOLE

Un omaggio fotografico allo splendido autore che fu Fabrizio De Andrè.

NUVOLE Fabrizio De Andrè

Vanno
vengono
ogni tanto si fermano
e quando si fermano
sono nere come il corvo
sembra che ti guardano con malocchio

Certe volte sono bianche
e corrono
e prendono la forma dell'airone
o della pecora
o di qualche altra bestia
ma questo lo vedono meglio i bambini
che giocano a corrergli dietro per tanti metri

Certe volte ti avvisano con rumore
prima di arrivare
e la terra si trema
e gli animali si stanno zitti
certe volte ti avvisano con rumore

Vengono
Vanno
ritornano
e magari si fermano tanti giorni
che non vedi più il sole e le stelle
e ti sembra di non conoscere più
il posto dove stai

Vanno
vengono
per una vera
mille sono finte
e si mettono li tra noi e il cielo
per lasciarci soltanto una voglia di pioggia.


LINK:

NUVOLE, La poesia che apre l'album omonimo di Faber 

E L'ALBUM COMPLETO DA GUSTARE..... 





Scatti eseguiti sul Garda fra Moniga e Padenghe.oggi, giorno di Pasquetta 2017..... 
Cliccateci sopra  per inbgrandirle....

martedì 11 aprile 2017

CAMPIANI.....



Orchis Simia

C'è un insieme di colline comprese fra il territorio dei comuni bresciani Collebeato, Cellatica e Gussago, giusto alle porte della città, che gode di un microclima particolare e che custodisce un incredibile varietà di fiori e piante.
In particolare vi fioriscono decine di orchidee selvatiche.

Da anni fotografo i vari esemplari che crescono intorno a casa, sulle colline moreniche intorno al lago di Garda, e sui monti vicini, come il Monte Magno, oppure a ridosso del lago, nel parco del Sasso a Manerba del Garda. (vedi post  IL RITO il pellegrinaggio).

Da tre anni grazie all'amico Giorgio, grande camminatore ed appassionato fotografo naturalista, ho incluso le colline intorno a Brescia fra le mie mete fotografiche.

Domenica scorsa ho effettuato un uscita con la mia adorata compagna di una vita e nonostante la scarsità di precipitazioni di quest'inverno la fioritura c'è stata ed ha dato discreti frutti.

Di seguito il Link di una mia galleria all'interno del contenitore Juza (uno dei più grandi contenitori fotografici dell'intero web), inutile dire che l'ho chiamata "Campiani" ed ovviamente vi ho messo gli scatti effettuati Domenica scorsa...

Buona visione...

Campiani 

PS sto fotografando le orchidee selvatiche per la loro straordinaria bellezza e perchè temo che difficilmente i nostri pronipoti potranno vederle con la facilità con ui le si vede oggi, il mutamento climatico sta facendo saltare intere fioriture di alcune specie, permettetemi di affermare che questo è decisamente un brutto segno.

martedì 4 aprile 2017

La banda del castèl ("prequel" de "la luna e la vecchia cascina")

"Te li avrei reastituiti!" Urlava Piero con tutto il fiato che aveva in gola, "zitto!" gli intimò la madre menandogli uno sberlone mica da ridere, "no no no te lo giuro!, te li avrei ridati!", un altro sberlone inerruppe l'accorata professione di buona fede e di risarcimento.

Piero questa volta l'aveva fatta grossa, io avevo sette anni e sbirciavo la scena da dietro l'angolo della casa del Muto, un falegname maestro nel fare sedie, tavoli e modellare qualsiasi forma con la gommapiuma, un artista insolito e ahimè per lui, silenzioso; 

Piero aveva rubato cinquemila lire dal borsellino della madre ed era poi corso da Maria de bè (un bazar di dolciumi, bevande improbabili, giocattoli, figurine dei calciatori, biglie, bambole, kit per fabbricare collanine, vicino al convento delle suore Canossiane), ad acquistare doddici pistole dei rengers (tutte in metallo) ed un mare di "calpis",cartucce esplosive per caricare le pistole giocattolo, ma Piero aveva sottovalutato Maria de bè, la quale si era rifiutata di vendergli le pistole e gli aveva chiesto di mostrargli i soldi per vedere se erano "buoni", una volta presi li aveva tenuti ed era andata dalla madre per chiederle se era al corrente delle spese folli del figlio.....

L'epilogo del dramma erano i sonori ceffoni che noi compagni di gioco di Piero stavamo udendo ben nascosti in fondo alla via.

Piero era un generoso, voleva acquistare le pistole per regolarizzare il nostro status di "banda"e farci entrare nel vortice di feroci duelli ed agguati in sella ai nostri destrieri a due ruote correndo per le vie del "castello" (vedi il link del post in cui ho spiegato origini e forma del "castello" ESTATI).

Cinquemila lire nel lontano 1967 era un discreto gruzzolo, ci si poteva acquistare il cibo per una settimana di una famiglia di quattro persone, una pistola costava centocinquanta lire, ma la madre di Piero nel borsellino aveva solo la banconota grossa e da qui nacquero i problemi del generoso (e decisamente incauto) ragazzo, il bandito del castello....

Il giorno dopo ci si ritrovò tutti insieme e Piero aveva ancora gli occhi  lucidi perchè il padre la sera precedente, al ritorno dal lavoro, ricevuta una minuziosa e dettagliatissima relazione dell'accaduto, gli aveva fatto un "richiamino" a suon di sculaccioni, "non saremo mai una vera banda" commentò sconsolato il generoso Piero, decidemmo di ripiegare su qualcosa di meno costoso, manici di scopa, mollette del bucato ed elastici fatti con le camere d'aria malmesse delle biciclette.

Procurarsi i manici di scopa non era un problema, Cocòl, la ferramenta a pochi passi dal castello li vendeva per pochi spiccioli, le mollette furono rubate dagli stendibiancheria sparsi un po' dappertutto, si scelsero quelle in legno ed il più nuove possibile, il montaggio era semplice, si smontava la molletta, la parte con la molla la sifissava con un chiodo corto ma a testa larga , poi sulla metà piatta del (mezzo) manico si metteva un altro chiodo, con la testa piccola, una volta rimontata la molletta per panni si prendeva un elastico, in realtà composto da molte sezioni di camera d'aria larghe circa un centimetro ed annodate fra loro fino ad ottenere un "elasticone" lungo venti centimetri, si inforcava sul chiodo in cima all'attrezzo il primo anello dell'elastico e l'ultimo lo si bloccava fra le ganasce della molletta per panni, ora pomposamente rinominata "grilletto".

Purtroppo le mollette avevano una tenuta scarsa per cui si preferiva tirare l'elastico con un dito e lanciarlo con maggior forza possibile.

Ognuno di noi distribuì e fu oggetto di numerose "elasticate" senza danni particolari se non al proprio orgoglio di pistolero.

L'estate se ne andò a colpi di elastico e di tutti i giochi possibili ed immaginabili, verso la fine di Agosto mia madre decise di farmi come regalo un "arma"ad elastici a forma di fucile realizzato da  Ezio, l'altro falegname il cui laboratorio era anch'esso in castello.

Ma ormai ero pronto per l'iniziazione, presto sarei passato ad un
arma vera, la cerbottana e poi la fionda......

Qui il seguito....

LA LUNA E LA VECCHIA CASCINA



 Una forma evoluta del fucile della banda del castèl....