Il tempo ed il suo scorrere sono un fatto che diamo troppo spesso per scontato, tuttavia se ci si ferma a riflettere è facile giungere alla conclusione che in effetti di tempo non ne abbiamo una scorta illimitata, la fine della vita (di un corpo) è inesorabilmente una scadenza che fa si che il nostro tempo abbia un termine, se lo paragonassimo ad una goccia che cade ad intervalli regolari si potrebbe dire che all'inizio di questa vita ne disponiamo un intera botte, poi via via una damigiana, una bottiglia e poi le poche gocce che cadono da una pipetta in vetro.
Eppure il tempo in termini assoluti
non è sempre stato come lo percepiamo ora, all'inizio di questo
universo il tempo scorreva in due sensi, difficile concepirlo ora, ma
la fisica teorica l'ha stabilito inequivocabilmente fin dagli anni
cinquanta.
Cosa abbia interrotto il flusso
bidirezionale è fuori dalla portata della ricerca, per capirlo
bisognerebbe chiedere aiuto alla filosofia.
Penso che la fine del proprio tempo, la morte
del proprio corpo, non dia senso alla vita, non amo sentir parlare
della morte come di un termine ultimo che dà significato alla vita, la
morte è “non vita”.
Quando muore una pianta che si è
accudito per anni e che ti ha nutrito con i suoi frutti in cambio di amore ed attenzione, perdi
inesorabilmente qualcosa, e benchè io sia certo che un essere quale
spirito migri da corpo in corpo al momento della nascita, vedo la
morte come un ostacolo, un termine indesiderabile, una sbarra del
telepass che si schianta sul parabrezza delle proprie relazioni, dei propri amori, dei propri amici.
Eppure mio padre ricordava altre vite,
quando si ammalò ed era ormai certo gli rimanessero poche gocce in
un bicchiere vuoto e sentiva il rammarico di non poter star vicino
alla moglie malata ed a noi, figli per cui aveva mostrato sempre un
amore immenso, bastò fargli chiudere gli occhi e farlo tornare alla
vita precedente, quando giocava da bimbo per le strade di Gubbio
nella sua amata Toscana per fargli tornare il sorriso.
Ma anche in una nuova vita il tempo
tornerà sempre a scandire i nostri giorni, a rubare gli affetti,
ad essere scadenza e distruttore insieme ed ancora ancora ed ancora.
Questa è stata la condanna che ha
spinto il giovane principe Siddhartha a cercare la condizione in cui
non si patisse la compulsione a reincarnarsi.
Da essere, da spirito, il tempo non ha
armi contro di te, anzi l'esperienza renderebbe sempre più saggi.
Meglio ancora sarebbe mantenere la
propria memoria, il proprio sapere da corpo in corpo e
diventare, questa volta si, immune dal tempo e dai propri artigli.
Se questo universo è nato da una CAUSA, il cui unico scopo era la creazione di un EFFETTO, come affermano i VEDA, antichi testi in sanscrito, la cruna dell'ago da cui dovremo passare sarà ancora la ricerca filosofica, la scoperta della causa che c'è in noi ora sommersa da cose non nostre che oscurano la nostra vera essenza.
I Veda sono un’antichissima raccolta in sanscrito vedico di testi sacri dei
popoli arii che invasero intorno al XX secolo a.C. l’India
settentrionale.