sabato 1 febbraio 2014

IL BUIO E LA NOTTE


Mi ero svegliato alle undici, mi stavano portando in terapia intensiva, dissi due parole all'enorme infermiere che con l'aiuto di un collega stava spostandomi dalla barella al letto.

Mi chiesero se ci vedessi, risposi di si, ma che la mia vista non era molto buona, avevo la bocca ipastata ed una sete incredibile, mi sentivo stanchissimo, avevo caldo e freddo nello stesso tempo, chiesi dell'acqua, mi fu risposto che per ventiquattro ore non avrei potuto bere, potevo solo inumidire una garza e succhiarla.


Era un reparto molto affaccendato, alla mia sinistra avevo un signore che stava tirando giù tutti i santi del calendario, alla mia destra il letto era vuoto, dopo due ore iniziai a perdere la pelle del palato, respirare dalla bocca senza poter bere era più difficile di quanto pensassi.


Ero nudo sotto le lenzuola, entrò mia moglie, mi chiese come stessi, le risposi che non andava male, le  concessero solo un minuto, poi fu la volta di mio padre, gli dissi del problema del palato, mi rispose attraverso la mascherina che non potevo bere, se ne andò curvo nella tuta di carta azzurra  che indossava.


I problemi giunsero nel primo pomeriggio, iniziai a non veder bene, ne parlai con la caposala, non successe nulla, ma io iniziai a scivolare in un mondo parallelo, dove le luci si stavano via via attenuando ed i suoni prendevano importanza fino a diventare l'unico collegamento con la vita che drammaticamente scorreva intorno a me.


Il letto di destra venne occupato da un ragazzino con una commozione cerebrale che aveva causato un ematoma inoperabile, dopo qualche ora fu portato in reparto in osservazione; il letto venne subito occupato da un signore operato da un carcinoma alla gola, respirava a malapena, gli venne praticata più volte l'aspirazione del muco, sentivo il rumore di un marchingegno che ricordava un aspirapolvere, nel frattempo erano venuti a controllarmi la vista in tre medici diversi, ognuno disse la sua ed io vivevo in un mondo di penombre, ma mi parve che anche loro brancolassero nel buio.


Il paziente alla mia destra non si stava riprendendo, arrivò la moglie che lo chiamò per nome più volte, ma non ricevendo risposta commentò con un acido "che me ne faccio io di un uomo così", uscendo la signora grassa che aveva fatto scricchiolare la sedia nell'alzarsi non sentì il lungo respiro del marito che certamente incapace di parlare, ma sicuramente in grado di sentire, si era arreso, le lacrime furono spese dal genero, smise di resprare in un paio di minuti.


Avevo cominciato a sentire un dolore via via sempre più intenso dietro gli occhi, mi tenevo la mente occupata pensando alla mia bimba di poco più di un mese, alla mia splendida moglie,.alle pere che stavano crescendo nel giardino di casa.


Il paziente nel letto di sinistra aveva avuto una crisi ipertensiva, a stento i due infermieri professionali riuscirono a tenergli la pressione sotto i duecento, io lottavo sempre contro il dolore che pareva ormai un chiodo giusto detro gli occhi.


Mi appisolai, vinto dalla spossatezza, pensando a mille piccole cose che avrei potuto fare una volta dimesso.

Fui svegliato da un medico che puntò una torcia sui miei occhi, curiosamente riuscii a vedere la resistenza della lampadina di un rosso vivido, ma non vidi la piccola parabola illuminata, sentii il medico borbottare qualcosa, chiesi siegazioni che non mi vennero fornite.

Nel corridoio di fronte alla mia stanza mio padre  mia moglie ed il mio amico Mauro erano accorsi alla chiamata del chirurgo che mi aveva operato, venne detto loro che ero cieco e che dovevo essere "riaperto" d'urgenza, mia moglie svenne.


Sentivo in distanza le urla che provenivano dalla saletta TV, urla di delusione, intuii che l'Italia era stata battuta dall'Argentina, mi sarei risparmiato i caroselli che avevano contraddistinto qelle "notti    magiche".


Mi chiamò per nome il chirurgo, mi disse che mi avrebbe somministrato una forte dose di corticosteroidi per vedere di evitare il nuovo itnervento, scivolai in un dormiveglia agitato.


Mi svegliai mentre mi stavano mettendo su di una barella, sentii la mano di mio padre afferrare il mio polso "ciao Ciccio, non ti vedo" gli dissi, mi portarono a fare una TAC per capire con esattezza cosa stesse succedendo, ma i medici non ebbero risposte.


Tornato in reparto dopo due ore di incubi, urla e strepiti del mio compagno di stanza alla mia sinistra venni portato in sala operatoria, chiesi di poter parlare con il chirurgo, dissi che non avrei autorizzato in alcun modo l'intervento se non avessi ricevuto spiegazioni, il chirurgo arrivò dopo un consulto di circa un ora, mi disse della complicazione, dell'emorragia che stava rendendomi cieco, mi spiegò che avevano deciso di "aprirmi" con un incisione dalla tempia alla fronte, acconsentiii all'intervento, non potevo restare cieco, non potevo pesare solo sulle spalle della mia compagna.


Mi svegliai nel solito letto in terapia intensiva, ci vedevo nuovamente, male, molto male, ma distinguevo la penna che aveva in mano il chirurgo, mi chiese cosa vedessi, gli risposi che aveva in mano una BIC cristall con il cappuccio blu, mi disse che era stata la sua peggior notte e che andava a dormire.


Venni dimesso dopo undici giorni, ebbi una degenza post operatoria molto complicata, potei camminare dritto sulle mie gambe solo venti giorni dopo le mie dimissioni.


Un anno fa entrando nella casa di un cliente per motivi professionali vidi che era accompagnato da un assistente e che non ci vedeva, notai che aveva la mia stessa cicatrice in alto sulla parte destra della fronte, e capii cosa avesse passato e cosa stesse sperimentando.


Rivissi la medesima esperienza sei anni fa, quando venni nuovamente operato per la medesima patologia, ma le tecniche chirurgiche erano cambiate, i medici erano cambiati, l'approccio con i pazienti era cambiato, operato il lunedì mattina, il sabato successivo mangiavo una fetta si St Honorè nella cucina di casa mia, con mia moglie suoceri ed i miei due figli, questa volta non avevo sofferto, questa volta era andato tutto bene, ma mio padre non era più con me per rallegrarsene. 




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